Le condizioni di legittimità delle deroghe alla disciplina statale delle distanze fra costruzioni nei rapporti tra privati

Fonte: Juranews

La deroga alla disciplina stabilita dalla normativa statale, realizzata dagli strumenti urbanistici regionali, deve ritenersi legittima quando faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come fossero un edificio unitario, e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone, poiché la legittimità di tale deroga è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti fra edifici confinanti isolatamente intesi (Cass. n. 27638 del 2018; Cass. n. 26518 del 2018; Cass. n. 18588 del 2018; Cass. n. 20188 del 2019; Cass. n. 8987 del 2023).

Le condizioni di legittimità delle deroghe alla disciplina statale delle distanze fra costruzioni nei rapporti tra privati, introdotte dalle Regioni nell’ambito della propria competenza legislativa concorrente, operano anche per i regolamenti attuativi della legge regionale, i quali solo entro tali limiti possono dettare una disciplina direttamente incidente sulla materia delle distanze in deroga a quanto previsto dagli artt. 873 e ss. c.c. e dal d.m. n. 1444/1968 (Cass. n. 26518/2018 cit.).

Il principio non è derogato nemmeno in relazione alla potestà normativa delle Regioni a Statuto Speciale avendo la Corte Costituzionale, in più occasioni, affermato che la materia delle distanze rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ovvero nell’ordinamento civile dello Stato.

Il principio è stato ribadito proprio in relazione alla Regione Sardegna con decisione del 13/03/2014, n. 46, che, ritenendo infondata la q.l.c. dell’art. 2 l. reg. Sardegna 23 ottobre 2009, n. 4, ha rilevato che lo statuto assegna alla Regione, in virtù della “clausola di maggior favore”, dettata dall’art. 10 L. cost. n. 3 del 2001, potestà legislativa primaria, ossia piena, nella materia dell'”edilizia ed urbanistica”; ha riconosciuto che il “sistema della pianificazione”, come “principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica” ed espressione degli “interessi nazionali”, non può ritenersi assoluto ed è censurabile laddove si investano profili di competenza legislativa esclusiva dello Stato, quale, in particolare, la disciplina delle distanze tra i fabbricati rientrante nella materia dell'”ordinamento civile”.

La disciplina delle distanze fra costruzioni ha, infatti, la sua collocazione nel codice civile, ed in particolare negli artt. 873 e 875 ed attiene, in via primaria e diretta, ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi.

Quando, però, i fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri, per ragioni naturali e storiche, specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda investe anche interessi pubblici, la cui cura deve ritenersi affidata anche alle Regioni, perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio.

Nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza — statale in materia di «ordinamento civile» e concorrente in materia di «governo del territorio» — il punto di equilibrio deve essere individuato nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, dotato di particolare efficacia precettiva e inderogabile, in quanto richiamato dall’art. 41-quinquies l. 17 agosto 1942, n. 1150.

Pertanto, secondo le indicazioni interpretative della giurisprudenza costituzionale, e come poi disposto dall’art. 2-bis del TUE, è legittima la previsione regionale di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo se inserite in strumenti urbanistici funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio riguardo alla materia “governo del territorio”, riconducibile alla competenza legislativa concorrente delle Regioni.

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